Sanità, volontariato, guerra: il ruolo della donna

Professioniste e volontarie

La mobilitazione delle donne

In questa fase storica, a cavallo tra Ottocento e Novecento, il concetto di «cura», tipicamente associato al ruolo della donna, assume una particolare declinazione. La dimensione della carità sparisce lasciando spazio al volontariato, più idoneo alle nuove forme e istituzioni statali e ai cambiamenti del lavoro. 

L’idea di maternità e di cura viene, inoltre, chiamata in causa nelle guerre di colonizzazione, nella gestione delle catastrofi naturali (come il terremoto) e nella militarizzazione della società per assolvere compiti materiali e ideologici significativi. 

Presentiamo, dunque, alcuni dati e immagini sulla mobilitazione delle donne in ambito assistenziale-sanitario e proponiamo un focus su un esempio particolare, quello della Croce Rossa. 
 

Una panoramica sul personale assistenziale

La Grande Guerra segna un aumento del numero di infermieri (sia uomini sia donne); si tratta di un incremento significativamente maggiore di quello registrato nei decenni precedenti.  La considerevole immissione in servizio di personale assistenziale negli anni dell’immediato dopoguerra si può spiegare con la necessità di riempire i posti rimasti vacanti durante e dopo il conflitto e con l’aumento dei pazienti, conseguenza diretta della guerra (malattie mentali, disabilità, malattie trasmissibili). Il personale infermieristico, specie quello maschile, poteva rivendicare l’esperienza maturata al fronte, nelle retrovie, mostrando anche eventuali attestati conseguiti. 

In quegli anni aumenta anche il personale religioso all’interno delle strutture sanitarie: in questo caso si può evidenziare la presenza particolarmente significativa di infermiere religiose impegnate e “formate” sui campi di battaglia.  Si deve, infatti, ricordare che l’assistenza infermieristica italiana durante la Prima Guerra Mondiale ha coinvolto – in varia misura – oltre ventimila unità.

Cfr. Note storiche sugli infermieri durante la Prima Guerra Mondiale, in «Lettere dalla facoltà»: Bollettino dalla facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Politecnica delle Marche.
 

Sulle implicazioni della differenza tra  professionalizzazione e volontariato per le donne

La mobilitazione che fa crescere i numeri del personale assistenziale mantiene e approfondisce una divisione tra lavoro e volontariato.  Questa differenza è particolarmente rilevante nel caso del coinvolgimento delle donne.

Nella narrazione più diffusa le donne hanno, in questo contesto, un’occasione per professionalizzarsi e, dunque, acquisire pieno diritto a partecipare alla vita politica e sociale. Tuttavia, il discorso sulla figura della donna caratteristico della mobilitazione tende a valorizzare quell’abnegazione che caratterizza tradizionalmente il lavoro di cura, a configurarsi come volontariato e ad essere associato alla retorica della patria. 
 

Professioniste/volontarie

Durante la Prima Guerra Mondiale si assiste alla mobilitazione, in campo sanitario, di un importante apparato di mezzi e uomini: in Italia, solo al fronte vengono allestite 453 unità sanitarie (ospedali da campo). I feriti trasportabili vengono classificati in: gravissimi, gravi trasportabili per intervento urgente, gravi trasportabili a breve distanza, trasportabili a lunga distanza e feriti leggeri. 

La Croce Rossa mobilita migliaia di ufficiali, sottufficiali, infermiere, cappellani che assistono più di un milione di militari. Le infermiere inviate al fronte furono 1.080. Questo numero si riferisce alle volontarie della Croce Rossa, ma in realtà altre istituzioni assistenziali del tempo fornirono personale sanitario (Società di Soccorso, Croce Bianca, Croce d’Oro, Croce Verde, Dame della Misericordia, etc.) per un totale circa di 10.000 volontarie. A queste vanno aggiunte le infermiere religiose, le infermiere professionali e gli infermieri inseriti come personale militare.

Il numero delle infermiere professioniste era esiguo dato che, all’inizio della Grande Guerra, in Italia erano presenti circa una trentina di scuole, con una bassa affluenza ai corsi e un basso numero di diplomate (a Roma la Scuola San Giovanni nei suoi primi sei anni di vita – agli inizi del XX secolo – diplomò appena 11 infermiere; a Firenze la Scuola Regina d’Italia presso l’Ospedale Santa Maria Nuova chiuse dopo pochi anni per mancanza di allieve e la Regina Elena di Roma dopo il primo ciclo ebbe solo 17 diplomate).

Cfr. Note storiche sugli infermieri durante la Prima Guerra Mondiale.
 

Tra le cause, un diffuso analfabetismo, una selezione rigida che accettava unicamente donne nubili del ceto medio, e una visione organizzativa che non riusciva a definire la collocazione stessa delle diplomate nei contesti sanitari.