Sanità, carità, guerra
Introduzione alla mostra
Dall’inizio del Novecento e, soprattutto, con la Grande Guerra cambia il concetto di sanità: la salute e la cura si articolano sulla gestione militare (triage), nasce il concetto di sanità. Le donne vengono coinvolte in modo massivo nell’ambito sanitario, al fronte e nel dopoguerra. Come si declina il concetto di «cura» sulla commistione tra «milizia», volontariato, lavoro: l’esempio della Croce Rossa.
Una panoramica
Prima della guerra la presenza di infermieri in totale era di 18.084 (10.247 donne e 7.837 uomini), immediatamente dopo si registravano 27.264 unità (15.1977 donne e 12.067 uomini) con un incremento maschile del 53,9% contro un 48,3% femminile.
Una crescita inedita, che va oltre i valori registrati nei decenni precedenti e che consente di ipotizzare una importante immissione in servizio di personale assistenziale, negli immediati anni del dopoguerra, sia per colmare i vuoti lasciati dall’evento, sia per rispondere ad un aumento della popolazione dei pazienti in relazione alle conseguenze della guerra (malattie mentali, disabilità, malattie trasmissibili, etc.).
In molti casi il personale infermieristico, specie quello maschile, poteva rivendicare l’esperienza maturata al fronte, nelle retrovie, a volte mostrando anche eventuali attestati conseguiti. Lungo questo stesso ordine di pensiero, considerando le fonti Istat, si può notare anche una crescita importante del personale religioso all’interno delle strutture sanitarie passato da 3.597 (1911) a 12.134 (1921), e anche in questo caso è ipotizzabile che, all’interno di quest’altra numerosità si possa ravvisare un insieme importante di infermiere religiose le quali, verosimilmente, erano state anch’esse impegnate e “formate” sui campi di battaglia.
L’assistenza infermieristica italiana durante la Prima Guerra Mondiale ha coinvolto - in varia misura - oltre ventimila unità.