A me dispiace non essere riuscito a trasmettere il senso del lavoro ai miei figli. Io sono diventato grande in fretta; quando vedevo gli operai che scaricavano i sacchi a mano, non riuscivo a stare fermo: lasciavo tutto per andare ad aiutare. Per me era impensabile non farlo. Mio padre pretendeva che il 20 del mese ci fossero le paghe degli operai – e io credo che questo sia un aspetto morale della questione. Il 20, se c’erano i soldi si dovevano fare le paghe, se non c’erano si dovevano comunque fare: bisognava in qualche maniera fare in modo di far quadrare i conti cosicché al 20, cascasse il mondo, ci fossero le paghe. Certe volte la situazione non era molto migliore di oggi: ci sono stati alti e bassi, c’era gente che ritardava i pagamenti piuttosto che situazioni diverse per cui non avevi fisicamente i soldi per poterlo fare. Io ho in mente queste cose che mi hanno un po’ segnato anche, ma dai miei genitori ho imparato a rispettare gli impegni e a essere corretto con le persone. Oggi quello che vedo in cantiere è che manca la fiducia del committente. Secondo me si deve instaurare un rapporto di fiducia tra chi fa i lavori, che deve fare il meglio possibile, e il committente, che se mi affida i lavori un po’ si deve fidare. Ora qui c’è qualcosa che non funziona: chiamo lui perché innanzitutto è il più economico e poi devo sempre essere attentissimo perché lui in qualche modo cercherà di fregarmi. Qualche anno fa mi sembrava diverso: non contava solo il prezzo. Forse perché la congiuntura economica era diversa.
Cosa significa per te fare le cose il meglio possibile? Cos’è un lavoro fatto bene?
Fare le cose a regola d’arte. Ad esempio, metterci i materiali che servono: insistere per usare le malte da esterno per i rivestimenti esterni, anche se sul progetto non ci sono perché il progettista si è dimenticato di prevederle – involontariamente o per tenere il prezzo più basso. E poi la soddisfazione finale: è piacevole che quando uno finisce di pagare il lavoro che ti ha commissionato sia contento del lavoro che ti aveva commissionato, altrimenti vanifica anche il lavoro. Se tutti i lavori che andiamo a fare li finiamo malamente non è gratificante, cosa stiamo qui a fare? È meglio se andiamo a fare la catena di montaggio.
Che differenza c’è con la catena di montaggio?
Si riesce a fare qualcosa che si vede dal basso, non solo lavorare su qualcosa, su qualcuno, su determinate cose già prestabilite. Diciamo noi siamo costruttori, costruttori di arte, perché artigiano vuol dire costruttore d’arte, no? Io in particolar modo preferisco le ristrutturazioni perché sono molto più complesse, creative, imprevedibili.
Che rapporto ha con i suoi dipendenti?
Molto buono. Noi trattiamo i nostri dipendenti come se fossero collaboratori perché io dico sempre che non si può fare impresa senza chi i lavori li fa. Abbiamo avuto due extracomunitari nel 2003- 2004 ma li ho tenuti tre o quattro anni, perché non avevano la capacità intuitiva e la manualità per poter fare il lavoro. Erano bravissime persone, ci mettevano anche impegno, però non ne usciva niente. Probabilmente anche la cultura del lavoro non è come la nostra.
In che senso?
Praticamente a loro interessa poco che il lavoro risulti bene. Se succede qualcosa che non doveva succedere, di solito quello che ha fatto il lavoro si dispiace perché l’ha fatto non bene. Invece questi non avevano questa sensibilità. Glielo spieghi oggi e domani è uguale. Bravissimi operai se li metti a fare lavori manuali in cui non serve chissà che, però…
I suoi colleghi imprenditori che rapporto hanno con i dipendenti?
Molte imprese sono andate male proprio per questo motivo qua, secondo me. I dipendenti non sono da frustare, ma da coinvolgere che è diverso. O sei lì otto ore al giorno e controlli a bacchetta… e allora non ti scappa niente. Ma devi essere lì, se mezza giornata non ci sei succede il finimondo. Invece se tu glielo fai capire con altri sistemi… Faccio un esempio concreto. Noi facevamo lavori negli alberghi. Gli alberghi si fanno sempre nel periodo invernale, con i tempi stretti e si deve calcolare tutto. Allora prima di dire sì e firmare il contratto, chiamavo e chiedevo: “Ci sarebbe da fare un albergo. Lo facciamo?” perché se è sì, poi bisogna farlo. Se tutti decidevamo di farlo bene, se no non lo facevamo. Se tu li coinvolgi… se tu invece li mandi a farli lavorare a dodici gradi sotto zero non esce niente: lavori fatti male, operai che si lamentano e ti remano contro, e non ha senso. Allora è meglio condividere prima.
Noi abbiamo sempre dato a tutti quelli che se lo meritavano 150 euro mensili di premio fissi, perché credo che l’impresa sia fatta dagli operai. Qualche anno fa avevamo 19 dipendenti, ora siamo rimasti in 8. Sinceramente, quando abbiamo dovuto fare le riduzioni del personale non ho dormito la settimana prima. Bisogna decidere poi chi sono i quattro da licenziare: è stata una scelta dura.
Che criterio ha adottato per licenziare?
Ho adottato il criterio dei carichi familiari. Lo ritenevo più giusto. Non mi sono confrontato con nessuno. Ho licenziato prima quelli senza figli, poi quelli con un figlio, poi quelli con due, poi quelli con tre, senza guardare l’età né niente. Secondo me è giusto così, ma posso anche aver sbagliato. Potevo anche scegliere quello più vicino alla pensione, ma poi quello che ha tre figli? Bisogna dare un futuro a questa gente. Ho guardato anche alla mia situazione. Questa crisi sarà secondo me una svolta epocale per il nostro settore: cambierà il modo di fare impresa, cambierà il modo di approcciarsi, cambierà il mondo dell’edilizia.
Perché?
Perché in due anni è cambiato il mondo: le banche non si fidano più di nessuno. Le stesse persone che quattro anni fa venivano e dicevano all’imprenditore: “Guarda che se devi fare qualche investimento abbiamo i soldi, basta dirlo”, adesso ti chiedono di rientrare. E si tratta delle stesse persone. Sono tre anni che soffriamo: abbiamo messo tutto quello che avevamo, abbiamo ipotecato case. È finita. Il prossimo passo credo sia quello di mettersi d’accordo tra tutti gli attori: banche, pubblico e imprese. In molte riunioni io dico che l’apparato pubblico deve voler bene alle imprese, altrimenti lasciate perdere, perché vuol dire che non ci credete.
La necessità di voler bene alle imprese è dato dal ruolo che hanno socialmente?
Anche socialmente. Io non accetto di essere visto come lo sfruttatore degli operai e quello che fa i soldi. Quando ho un tenore di vita decente per vivere normalmente non mi interessa nient’altro. Abbiamo deciso di fare questo nella vita e non ce l’ha ordinato il medico, possiamo smettere quando vogliamo, però se abbiamo deciso per questo… non devo essere demonizzato.
Siete demonizzati?
Secondo me sì, dal punto di vista del pubblico l’imprenditore in generale non è visto bene.
Perché è quello che cerca di evadere?
Non lo so. Io sono dall’altra parte e non riesco a capirlo. Il fatto è che, tornando sul discorso della crisi, quando perdiamo un sacco di imprese così andiamo incontro a un impoverimento sociale incredibile. Perdiamo imprese, professioni, professionalità, capacità di fare. Perché il Trentino ha costruito in tutta Italia senza avere problemi di alcun genere e in particolare la Valsugana ha costruito in tutto il Trentino. Questo comporta un impoverimento generale. Penso che quando ci sarà veramente da ricominciare e da produrre nuovamente, non saremo più capaci di farlo o non ne avremo più le capacità: allora diventeremo territorio di conquista. È la storia ad insegnarcelo: nei territori che si sono molto impoveriti dal punto di vista del saper fare, c’è qualcuno che viene da fuori. Ora stiamo demolendo il tessuto sociale, i paesi stessi. Quest’anno ho visto uno spiraglio, ma forse è solo un’illusione. L’anno scorso ho passato un Natale pessimo: non avevamo cantieri, quando di solito eravamo abituati ad avere lavori un anno per l’altro. Ci ho fatto una malattia. Quest’anno (inizio 2013) abbiamo circa 300.000 euro di appalti acquisiti, qualcosina per iniziare, allora ho passato un Natale diverso. Perché il nostro lavoro è andare a lavorare. A dire la verità, questa è una nostra colpa, perché in altre parti di Italia quando va male chiudono… Qui invece abbiamo ipotecato le case e ci sono danni familiari a non finire. Ed è per l’orgoglio: l’orgoglio di dire: “Ho fatto e dopo 30 anni non voglio vedermi così, non è possibile che in 4 anni mi sia ridotto così, non voglio farmi vedere così”. Non è solo l’aspetto economico il problema: ci sono anche drammi familiari.
C’è tra gli imprenditori un po’ di sensibilità rispetto all’ambiente, ad esempio sul riciclaggio o sull’eccesso di cementificazione?
Quello non dipende da noi. L’imprenditore immobiliarista non ha nessun interesse a fare cose brutte perché non le vende. Ha interesse a fare ecologicamente sostenibili perché oggi gliele chiedono, a impatto ambientale zero perché oggi glielo chiedono, con consumi di energia bassa perché questo chiedono oggi. Noi subiamo le trasformazioni e le richieste del mercato. Anche dal punto di vista economico non ci conviene perché noi possiamo fare tutto in cemento, che ci costa 5 invece che 10, ma se poi non lo compra nessuno che senso ha? Per questo diciamo che noi siamo governati dal mercato: adesso la gente è sensibile a queste cose e non c’è interesse a non essere attenti a questi aspetti.
(a cura di Tiziana Faitini)