La pecora Dolly ha rappresentato un caso eclatante, ma in seguito non ci si è molto interrogati. Ci si è trovati ad avere topi e ratti transgenici che vengono prodotti e non hanno la possibilità di avere una vita di alcun benessere, ma solo una sofferenza incredibile. Abbiamo altri esempi della selezione di animali come il bulldog, che ha delle malformazioni congenite stabilizzate che però gli impediscono di respirare bene e lo rendono soggetto a malattie. Oppure, nella zootecnia sono stati prodotti degli animali ad altissima attitudine di produzione, che però, anziché fare 5, 6 o 7 lattazioni e arrivare a fine carriera a 17 anni, in tre lattazioni hanno esaurito tutte le loro risorse di energia. Anche questi sono animali soggetti a una certa sofferenza.
La mania di cercare l’esasperazione della produttività senza guardare a tutto il resto che ne consegue è pericolosa per gli animali, ma in qualche modo anche per l’umanità. C’è chi teorizza che l’animale, il cane in particolare, sia stato fondamentale nello sviluppo della specie umana, in quanto ha migliorato la performance nella caccia e dunque ha consentito un’alimentazione a base di carne e uno sviluppo del cervello. La relazione uomo-animale cambia significativamente per il fatto che, oggi, l’animale non viene più presentato come animale al consumatore, ma come bistecche cellofanate: c’è proprio un distacco, una non consapevolezza. Il prodotto viene alterato, viene frantumato. Ed è consumato più facilmente perché non ricorda l’animale e quindi non ci costringe a fare mente locale della sofferenza che si nasconde dietro a quel pezzo di carne di cui ci cibiamo. Aumentare il prezzo della carne e produrre meno latte sarebbe un modo per aumentare la consapevolezza nel consumatore. In questo senso, però, il medico veterinario è una figura molto soggetta ai poteri forti con cui ha a che fare, quindi non ha molta libertà in genere di esprimere o portare avanti istanze di tipo etico.
Cosa intende per poteri forti?
L’economia che regge la zootecnia e quindi la produttività esasperata, la politica che è legata in modo stretto all’economia soprattutto in Trentino, dove ci sono condizioni molto forti anche di sostegno all’agricoltura e alla zootecnia. Dovremmo realizzare che il Trentino è una realtà piccola, che non ha la possibilità di competere nella maniera più assoluta con la zootecnia del resto d’Italia e del mondo. L’interesse dovrebbe rivolgersi a sviluppare prodotti di nicchia, di alta qualità, con determinati requisiti di filiere gestite in modo appropriato, anche da un punto di vista etico. Qui non possiamo competere sulla quantità: se riusciamo ad essere competitivi come economia è perché la provincia sana e finanzia qualsiasi cosa, ma penso che in prospettiva non vi saranno più tutti questi soldi per finanziare a pioggia. La certificazione etica di una filiera sarebbe una cosa molto interessante. In questo il veterinario potrebbe dare una mano e si potrebbe implementare un sistema di controllo e di verifica di questi aspetti: l’origine garantita, l’alimentazione fatta con un certo tipo di mangimi, lo spazio e la cura e la libertà che viene concessa agli animali, la presenza della propria madre. Il tutto accettando animali con una produttività coerente allo sviluppo naturale.
E se guardiamo alla pratica del singolo veterinario, quali sono i casi eticamente problematici?
È uscito sul giornale quest’anno il caso di un collega che aveva fatto l’eutanasia a un cane lupo cecoslovacco. Questa problematica del cane lupo cecoslovacco è enorme e diffusa. Si tratta di un mezzosangue che deriva dall’incrocio tra un pastore tedesco e un lupo cecoslovacco, ed ha una potenza di morso molto forte. Per gestirlo, bisogna essere molto esperti ed avere la capacità di interagire con un cane molto impegnativo. Invece, la gente è affascinata dal cane e se lo compra. Fin quando è cucciolo va tutto bene, ma quando comincia ad avere la maturità, soprattutto la maturità sociale, diventa ingestibile: questo cane ha una sua coscienza e se qualcuno sbaglia lui lo punisce. E allora i proprietari ricorrono all’eutanasia. Il cane morde ed è un comportamento che può costituire anche pericolo, però non è malato. È la sua indole e dal punto di vista clinico non si può dire che ha patologie che lo fanno soffrire. In genere, l’animale può impazzire, può avere un grave disturbo comportamentale che lo fa soffrire ed allora è chiaro che si indirizza verso l’eutanasia: questo, però, deve essere diagnosticato da un medico veterinario comportamentalista, non dal medico veterinario. Diventa un problema etico di difficile soluzione e non siamo preparati su questo.
Poi, vi è il caso dell’accanimento terapeutico. C’è la necessità che il veterinario sia capace di affrontare il dolore del cliente per il suo animale e fargli capire qual è il bene per l’animale. E qui si gioca anche un vantaggio economico per il veterinario, che fa operazioni magari eccessive. Una formazione su questi aspetti, uno sviluppo culturale del professionista su questo e anche la capacità di divulgare queste informazioni sarebbero profondamente utili. La nostra società tenta di esorcizzare la morte, ma almeno per quanto riguarda gli animali si potrebbe fare un ragionamento più distaccato e pensare alla possibilità che all’animale sia data una morte serena piuttosto che una sofferenza indicibile per giorni, mesi o anni. In generale, non si può più pensare che, dato che sono medico veterinario, ho il potere di decidere: bisogna anche un po’ argomentare, altrimenti non regge, soprattutto su cose che hanno impatto sull’opinione pubblica. E non si tratta tanto di chiedere nuove leggi in materia: le norme sono controproducenti perché creano l’impressione che sia tutto a posto e regolato, e poi invece chiunque viola la norma e la fa franca. Dovrebbe esserci una capacità di riflettere e di argomentare la nostra attività.
(a cura di Tiziana Faitini e Lucia Galvagni)